Progetto

Finalmente esce, ce l’abbiamo fatta: è qui fra le nostre mani il tanto desiderato e atteso “numero zero”. Paradossalmente servirebbe un intero numero di nuovoEffatà per raccontarne la (ri)nascita e per “presentarlo” a dovere, ma lasceremo che sia l’esperienza diretta della lettura nel tempo a farlo e per ora ci limitiamo a esporre le tappe principali e le motivazioni che ci hanno condotto qui .

Tutto è iniziato, per noi volontari, con il cammino di formazione rivolto ai giovani “Chiamati al Servizio”, percorso promosso dalle associazioni Effatà e Rabbunì in collaborazione con Csv DarVoce. Proprio lungo questo cammino abbiamo iniziato a conoscere pian piano, ma ancora a distanza, la realtà dell’O.P.G. e a cercare sempre più fortemente un contatto con le persone che ne fanno parte. Un anno di incontri tra noi ragazzi, che ha fatto sì che si creasse un gruppo affiatato e animato da un desiderio comune e la presenza di ospiti che hanno saputo farci riflettere sul senso del servire nei suoi aspetti più variegati: un periodo lento ma necessario di avvicinamento ad un’istituzione in cui tutto a prima vista sembrerebbe possibile e auspicato per migliorare la situazione, ma anche molto difficile da proporre e da realizzare.

L’attesa è stata lunga e talvolta pesante, ma ha fatto sì che nella parole “chiamati al servizio” trovassimo il senso del progetto che si sta concretizzando con questa piccola, ma importantissima, produzione. E poi, finalmente, l’articolo 17, la possibilità di incontrarci dentro. NuovoEffatà è il motivo che ci permette di entrare, di stare a contatto diretto con le persone che vivono e che lavorano in O.P.G., ed è il motivo che permette a loro di stare con noi: un progetto che, oltre a realizzare se stesso, promuove la costruzione di legami sociali, aspetto che non è scontato e che il più delle volte è sottovalutato.

Ma nuovoEffatà è anche e soprattutto “organo di informazione e strumento di dialogo” dell’O.P.G. di Reggio Emilia, dicitura ripresa dalla versione precedente, Effatà. Abbiamo parlato infatti di ri-nascita: la prima esperienza giornalistica di questo O.P.G. risale al 1992, anno in cui il cappellano don Daniele Simonazzi ebbe l’idea di dare un’opportunità di espressione a chi stava dentro. La redazione fu presto presa in mano da Roberto Raviola, a cui Effatà deve tantissimo e che ci sentiamo di ringraziare per averci in un certo senso “passato il testimone”, oltre che per averci “dato le dritte” di cui avevamo bisogno.

Oggi la redazione è tutta nuova, e la caratteristica principale del giornalino vuole essere, recuperando in toto i principi che già sostenevano quello passato, quella di dare voce a chi è recluso, di “abbattere i muri” per dare la possibilità a tutti i ragazzi che vivono internati di esprimere liberamente e senza censura i loro pensieri dalla profondità di una cella, far sì che siano loro a scrivere e manifestarsi spontaneamente e volontariamente senza nessun tipo di imposizione. E’ totalmente assente il desiderio di stupire e di “fare notizia”, speriamo risulti evidente dalle pagine che sfoglierete e dai suoi articoli: non si vuole creare un prodotto autoreferenziale, nuovoEffatà esiste nella misura in cui rimane servizio. Esso non ha scopo trattamentale né educativo, nonostante crediamo che la sua realizzazione possa rappresentare un aiuto anche indiretto per coloro per i quali il tempo si consuma solo dentro, ma anche per noi che abbiamo così la fortuna di vivere rapporti umani straordinari e arricchenti; in O.P.G. diventiamo gruppo, condividiamo il tempo e i pensieri senza nessun bisogno di fingere. E’ invece presente, forte e chiara, la necessità di creare un ponte tra esterno e interno, di far conoscere fuori ciò che succede dentro, di far aprire gli occhi su una realtà dai più ignorata.

Non possiamo certo dire che i prodotti che usciranno dalla nostra rudimentale redazione siano competitivi né professionali, e non aspirano ad esserlo, anche se da quando Ryszard Kapuscinski, il più grande giornalista sociale scomparso nel gennaio del 2007, disse che “il vero giornalismo è quello intenzionale, vale a dire quello che si dà uno scopo e che mira a produrre una qualche forma di cambiamento”, in tanti hanno parlato della rinascita di un’informazione “dal basso”. L’aspetto sociale dell’informazione è quasi sempre trascurato dal dibattito sul ruolo del giornalismo, mentre in realtà l’influenza di queste cronache ha un forte impatto sulla vita delle moderne democrazie e può favorire un più ampio riconoscimento dei diritti umani. Si può pensare allora che tali produzioni facciano parte di quel giornalismo sociale fatto di tante esperienze diverse tra loro accomunate da una stessa idea di fondo: quella di tradurre nel mondo dell’informazione principi astratti come cittadinanza attiva, sovranità popolare e uguaglianza dei cittadini, trasformandoli in azioni concrete e progetti visibili. E per far questo certo non possono bastare solo i giornalisti!

Proprio parlando di uguaglianza dei cittadini chiudiamo allora il discorso e apriamo le porte ad una collaborazione “benvenuta e aperta a tutti”, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Sara Brazzali – nuovoEffatà, n°0 – mag 2010